di Luisa Rizzitelli, Esperta in comunicazione e Responsabile Progetto Better Place

Sembra un vero azzardo parlare in questo periodo di materie che non siano strettamente legate alla produzione, alla ripresa di processi operativi e funzionali all’immediato recupero economico-finanziario di quanto la pandemia ha divorato. Le imprese, dalle più piccole alle più grandi, hanno vissuto il periodo più tragico dal dopoguerra e siamo tutti convinti che la strada di un recupero reale sarà ancora lunga e faticosa.

Ma proprio un periodo come questo ha suggellato la potenza, anche in termini di vantaggio competitivo, di costruire e valorizzare le reti e le relazioni tra le persone. Allo sgomento e alla paura hanno reagito indubbiamente meglio le comunità che hanno saputo creare dinamiche di sostegno e sussidiarietà tra le singole persone. Nelle case, forzatamente chiuse, nei luoghi di lavoro, dove la preoccupazione di potersi ammalare o di contagiare ci ha fatto e continua ancora a farci compagnia, l’elemento di maggiore armonia e capacità di capirsi hanno fatto la differenza.

Proprio questo fa il nostro Progetto Better Place. Lo fa cercando di mettere a fuoco la capacità di donne e uomini di sapersi parlare, conoscere, riconoscere e sostenere. Una capacità che deve partire da un rispetto comune e da equilibri realmente bilanciati di possibilità, dall’abbattimento di stereotipi, pregiudizi inconsapevoli e situazioni di sottovalutazione e disagio. Condizioni negative che nei luoghi di lavoro possono compromettere risultati ed obiettivi.

Spesso quando mi viene chiesto da imprenditori, manager e giornalisti se nelle aziende, con la nostra formazione, puntiamo davvero alla “gender equality” e quindi a pari opportunità e al contrasto alle discriminazioni, io rispondo che facciamo molto di più: costruiamo il terreno comune su cui nessuna forma di mancanza di rispetto, dalla più inconsapevole alla più grave, potrà più attecchire.

Per ottenere questo, in una cultura come la nostra, ancora intrisa di vecchi stereotipi duri a morire, la prima operazione da fare è quella di porsi in una dimensione di ascolto e dialogo, partendo dalla realtà del nostro quotidiano, dentro e fuori gli spazi di lavoro.

Il corpo docente che utilizziamo (circa 20 esperti) sa che, in lezioni nelle quali si mette in discussione quanto abbiamo sentito “normale” da sempre, la prima operazione è quella di far comprendere che la “gender equality” non sia una questione femminile, ma un tema di miglioramento individuale e collettivo che riguarda tutti. Inoltre, si deve demolire con decisione il secondo mito negativo da sfatare: che affrontare questi temi inneschi una battaglia “maschi contro femmine”.

La decostruzione di alcune convinzioni, abitudini e situazioni, degne della più comoda “comfort zone”, parte da questa consapevolezza: l’equilibrio, il rispetto, il sentirsi a proprio agio nelle relazioni tra donne e uomini nel posto di lavoro sono una ricchezza ancora poco valorizzata.

Ed è una ricchezza che porta efficienza, capacità di costruire politiche migliori per i clienti e per chi si relaziona ogni giorno con noi: una ricchezza che costruisce team di lavoro più affiatati ed empatici. Un innegabile “vantaggio competitivo” che rende prezioso affrontare questi temi e costruire, come fa Better Place, non singole occasioni informative, ma un percorso strutturato e coinvolgente, grazie al quale tutti gli angoli di questo ambito vengano decostruiti, analizzati e affrontati.

Ecco perché, proprio in un periodo così difficile, lavorare sulle potenzialità di uomini e donne perché sappiano incontrarsi diventa prezioso. Non solo per quel senso di responsabilità sociale che ci deve sempre animare, ma per la consapevolezza di vedere con occhi migliori e nuovi il futuro che, insieme, ci attende.